PRIMARIE. IL PD È (QUASI TUTTO) DI RENZI
con un 70% che somiglia a un 80 o più, ma non vale il 40 per il centro sinistra
Premesso che il Pd è il partito italiano con l’asset più importante – primo o secondo per voti e di gran lunga il più strutturato per organizzazione, iscritti e partecipazione popolare – al punto da rappresentare il perno e l’architrave di tenuta del sistema politico italiano, l’analisi ridotta all’osso delle primarie 2017 evidenzia tre dati: il primo, che il dominio di Renzi su di esso va di fatto oltre il consenso esplicito del 70% degli elettori, stante il fatto che il 20% di Orlando, autorevole membro del suo governo e di quello di Gentiloni, non può andare oltre la proposta di un diverso approccio politico, senza però incidere sui fondamentali del progetto renziano, così come il 10% di Emiliano altro non rappresenta che una minoranza fisiologica in parte sempre in bilico, come per altro è apparso il loro stesso capofila, tra restare o uscire da partito, una frangia che in un grande partito sempre ci sarà, con o senza Emiliano; la seconda, a conferma della premessa sull’importanza del Pd nel sistema politico italiano, che la pur ragguardevole e per certi versi encomiabile partecipazione alle primarie di 1.850.000 elettori, rappresenta ormai soltanto quanti sono disposti a sostenere un Pd a trazione renziana; la terza, diretta conseguenza delle prime due, che questo Pd da solo non va oltre un consenso elettorale che si aggira attorno al 25%.
È tanto vero che nelle regioni del suo più tradizionale forte insediamento – Emilia Romagna, Toscana ed Umbria oltre che Piemonte – ad una diminuzione della partecipazione alle primarie più drastica che altrove, ha corrisposto un consenso ancora più ampio – il 75% – a Renzi. Un fenomeno, quest’ultimo, che evidenzia come qui si sia consumata la più massiccia fuga dal Pd di quanti non intendono più restare con Renzi. Vogliamo ricordare a chi se ne fosse già dimenticato che in Emilia Romagna di tutto questo c’erano già le evidentissime premesse nel gigantesco segnale di insofferenza manifestatosi con la drammatica astensione dalla partecipazione al voto nelle ultime elezioni regionali del novembre 2014, proprio mentre quasi tutta la dirigenza bersaniana passava armi e bagagli a Renzi, addirittura sgomitando per rubare la scena a qualche Renziano che, in territorio ostile, ne aveva fino ad allora tenuta alta la bandiera. In regione votò allora un misero 37% degli elettori, praticamente la metà di quanti in passato e addirittura molti meno che in Calabria, anch’essa al voto nel novembre 2014.
Come socialisti dedichiamo queste riflessioni agli amici del Pd perché crediamo che molto o quasi tutto dipenda da loro: se accontentarsi di andare significativamente oltre il 25% dei consensi elettorali sulla base di una minore partecipazione degli elettori al voto e nel contempo creando attorno a sè un deserto di possibili alleati, addirittura scegliendo di far terra bruciata tanto a destra quanto a sinistra, ovvero se mettere in campo un centro sinistra largo, che coalizzato in una qualche forma federata, possa vincere le elezioni.
Per un Pd solo contro tutti, il canto delle sirene che insinua nelle orecchie il richiamo del 40% – sia quello, per intenderci, del pur perso referendum costituzionale del 4 dicembre scorso, sia quello delle ultime elezioni europee – è pericolosamente attraente, lo sappiamo. Ma non crediamo sia verosimile. In ogni caso, passate le elezioni, si dovrà pur governare, e come e con chi non sarà indifferente, rispetto agli interessi da rappresentare. Perciò, detto che continuando così, se non il consenso formale – la percentuale dei voti a prescindere dal numero dei votanti – si riduce il consenso reale rappresentato dal numero degli elettori in carne ed ossa e quindi dei loro voti in cifra assoluta. La scelta sarà un po’ più chiara quando vedremo con quale legge elettorale si andrà al voto nelle ormai prossime elezioni politiche.
Carlo lorenzo Corelli – Coordinatore provinciale Psi Ravenna