LORO SE NE FREGANO, GLI ALTRI LI OFFENDONO
ma non è soltanto una questione di stile
Diciamocelo, sono ormai 30 anni che la sinistra popolare e di governo ha rinunciato a seguire la strada del riformismo per proporre una propria visione alternativa di società, preferendo inseguire in modo quasi acritico chi si apprestava a dar fiato a disegni di restaurazione favoriti dalla globalizzazione. Così, inseguire le politiche altrui, nell’illusione di attenuarne l’efficacia, ha in realtà mortificato le differenze e, con esse, la credibilità di una effettiva alternativa.
Ora i nodi sono tutti venuti al pettine: una politica muscolare che si manifesta nella crudezza del linguaggio, nell’affievolimento del rispetto delle istituzioni, nella pericolosa politica di bilancio, nella sgangherata gestione della cosa pubblica, nell’ignoranza degli effetti reali delle scelte in tutti i campi, dal lavoro, all’economia, ai rapporti internazionali, alle modifiche costituzionali ed istituzionali. Il prezzo è la messa in discussione delle perequazioni e l’affievolimento delle uguaglianze, l’esaltazione di un europeismo strabico che, confondendo l’effetto con le cause, pretende di risolvere i limiti dell’Europa delle nazioni – anziché federale – con nuovi nazionalismi.
Se dunque può amareggiarci sentire offendere nell’aula del Parlamento europeo il capo del governo italiano, non è meno vero che il suo discorsino formalmente europeista non indicava nessuna proposta, nessuna visione; che l’Italia è isolata e non può certo contare su alleati insignificanti quali l’Ungheria, la Polonia e la Cechia. Intanto, mentre noi ci balocchiamo in menefreghismi nei rapporti con i maggiori paesi europei, Germania e Francia hanno messo in cantiere il progetto comune di un moderno aereo da combattimento, e noi continuiamo ad acquistare i vecchi e costosi F 35; la Francia, poi, ha abbandonato la sua ostilità al raddoppio del gasdotto dalla Russia alla Germania, e noi continueremo ad approvvigionarci di gas dall’Ucraina. Certo la Germania e soprattutto la Francia hanno le loro “colpe”, ma noi che facciamo? I bambini che, indispettiti, rinunciano a stare al tavolo delle grandi scelte: gli aerei, il gas, la nuova Europa, le reti di collegamento intereuropee.
Questo governo preferisce, invece, inventarsi un federalismo casereccio e devastante, anche grazie alla colpevole riforma del titolo V della Costituzione voluta nel 2001 dal centrosinistra con uno dei tanti mezzucci tesi a blandire le spinte disgregatrici della vecchia Lega secessionista/federalista (e ora nazionalista!).
Non si può non vedere lo sconquasso che provocherebbe il progetto di assegnare ulteriori competenze esclusive e, con esse, le relative risorse finanziarie per farvi fronte ad alcune regioni del nord.
Molte sono infatti le critiche, ma c’è n’è una che quasi nessuno dice. Come è noto, una parte del gettito fiscale è impegnata nel “servizio del debito” cioè negli interessi destinati a remunerare il debito pubblico che incidono annualmente per circa 85 miliardi. Una cifra, quest’ultima, che assorbe l’11% del gettito fiscale complessivo. Dobbiamo però considerare che il servizio del debito in rapporto al gettito fiscale è ben maggiore per le regioni dotate di una più ampia e qualificata erogazione di servizi, come è in genere per le regioni del nord. Per la Lombardia, ad esempio, il servizio del debito incide sul gettito fiscale il triplo in termini assoluti e il doppio in rapporto alla popolazione rispetto a quello medio nazionale dell’11%. Ma se alle regioni più ricche venisse consentito di trattenere, dal loro extra gettito fiscale, quanto lo Stato spende attualmente per le nuove competenze esclusive che gli verrebbero trasferite, di fatto l’intero onere del debito nazionale, o quanto meno la sua parte più cospicua, sarebbe caricato sulle spalle della restante parte del Paese, quella per altro meno ricca.
Non è in discussione la diversa efficienza dei servizi pubblici e delle istituzioni che in genere è minore al sud, anzi è su questo che bisogna intervenire, piuttosto che disarticolare l’unità nazionale, accentuando anziché ridurre il divario nord/sud. Non ci piace perciò la scelta della nostra regione – l’Emilia Romagna – di essere della partita, che ci sembra appartenere ancora una volta a quella linea di inseguimento delle politiche altrui, perdendo la propria natura.