PER I SOCIALISTI E LA SINISTRA È TEMPO DI CAMBIARE
Contributo al dibattito sul futuro della sinistra e l’alternativa di governo che oggi non c’è
di C. Lorenzo Corelli*
A sinistra è necessario un bagno di umiltà e di ragionevolezza, forse ancora possibile rinnovando non soltanto l’approccio politico, ma gli stessi gruppi dirigenti, non guidati però da furia parricida, poiché ognuno dovrà contribuirvi nell’alleanza tra le generazioni: chi con la dottrina e l’esperienza, chi con la voglia e lo slancio necessario di guidare un nuovo corso con la forma mentis e nei modi dettati dai rapidi mutamenti del tempo che viviamo.
Per farlo serve innanzi tutto superare ritrosie a lasciare il comando e ripristinare quel rispetto reciproco che può rendere operosa e coesa una comunità politica.
Né può valere il sospetto che il rinnovamento sia una lacerazione insopportabile, poiché opporvisi, ormai, lo sarebbe ancor di più e ci condurrebbe ad una inesorabile, inaccettabile e insormontabile ulteriore perdita di consensi.
Tante sono, infatti, le domande che i giovani possono porsi e porci, alle quali non dobbiamo però rispondere come se a porle fossero dei pericolosi “rottamatori”, ma con spirito di servizio. Se discutono a modo loro su cosa sia la sinistra, come noi facevamo quando era il tempo nostro, non abbiamo nulla da temere. In fondo il fine resta comune: la sinistra non è altro che la speranza di costruire un futuro migliore per milioni di individui che vivono nel disagio, nella miseria, nell’incertezza. E, oggi, le giovani generazioni sono tra quelle che si aspettano dal futuro meno assistenza sociale, meno garanzie di inclusione e più difficoltà economiche. Quando poi, a sinistra, i primi attori del confronto di idee e proposte per un nuovo presente, sono i quadri e i militanti socialisti più giovani, è ancora meglio, se vogliamo tentare di ricucire la frattura tra le generazioni che i disastri di queste seconde e terze repubbliche, mai nate eppure imperanti, hanno prodotto.
Con tutti i suoi limiti, la stella polare resta il socialismo riformista, come unica via per rimettere concretamente con i piedi per terra una sinistra di governo, partendo dal dato ineludibile che essa, in Italia, da sola non è mai stata maggioranza.
Cosa debba essere la sinistra, dunque, dipende dalla sua capacità di inquadrare correttamente i fenomeni, individuare le soluzioni possibili a favore dei ceti più deboli, disporsi, infine, alle alleanze compatibili il più possibile con i suoi programmi. Un compito complesso, per il quale non può mancare l’apporto, a gruppi dirigenti rinnovati, delle più qualificate esperienze di quelli che li hanno preceduti.
A voler soltanto esemplificare, prendiamo il fenomeno dell’immigrazione e esaminiamolo in tutte le sue sfaccettature per fare emergere la verità.
Non è vero che, nella globalità del fenomeno migratorio verso l’Europa, l’Italia sia la più invasa.
Non è vero che l’Italia non riceva dall’Europa, per la gestione dei migranti, un sostegno finanziario, certo insufficiente, poiché cinque sono i miliardi che ci sono riconosciuti a questo titolo.
Non è vero che i clandestini – quelli per intenderci che non hanno motivi legittimi per migrare in Italia – rappresentino il 90%, poiché i clandestini sono causati piuttosto dalla legge Bossi-Fini.
Non è vero neppure che gli immigrati tolgono lavoro agli italiani, ma più semplicemente svolgono attività di bassa manovalanza, in condizioni per altro di semi schiavitù, per le quali non è disponibile manodopera italiana.
Vero è, piuttosto, che buona parte della disoccupazione, soprattutto quella drammatica giovanile, ma non solo, è spesso figlia della bassa scolarizzazione, della mancanza di adeguati programmi di formazione ai nuovi lavori, di Centri per l’impiego cenerentola, se confrontati con quelli di Stati Europei all’avanguardia.
Vero è anche, però, che un tale mercato del lavoro per gli immigrati, tutto basato su sfruttamento e bassi salari, unito alle norme di precarizzazione spinta ultimamente introdotte, comprimono le condizioni salariali di tutti, scolarizzati compresi, che per altro non trovano comunque adeguati sbocchi occupazionali.
Vero è, inoltre, che l’accoglienza, una volta svolto il doveroso salvataggio umanitario in mare di disperati, è stata gestita senza alcuna oculatezza e in modo sgangherato: nessun controllo sull’utilizzo delle risorse dedicate, una vigilanza a dir poco approssimativa sulla presenza degli immigrati sul territorio, pressoché nessuna politica di integrazione, come avviene negli Stati Europei più virtuosi.
È così che il fenomeno, non governato, viene percepito come più grave di quanto non sia nei suoi dati reali.
La concretezza e l’intelligenza del socialismo riformista ci possono aiutare a meglio comprendere che la risposta per la Patria Europa non è quella, sedicente europeista – né di destra né di sinistra – di Macron, ma neppure quella incapace di vedere che in Europa c’è già la casa della sinistra di governo, il Partito del Socialismo Europeo. A che serve, infatti, anteporre la domanda di breve respiro di quale sia l’alternativa di governo, se prima non ricostruiamo il nostro campo di sinistra? Facciamolo e soltanto dopo discutiamo delle alleanze compatibili con noi.
Prefissarsi, come Socialisti, di cooperare con tutte le forze che non rinunciano a una visione del mondo egualitaria e che si richiamano senza reticenze ai valori fondanti del nostro costituzionalismo repubblicano, significa aprire la nostra casa e farne la casa comune di un centrosinistra che affronti con concretezza ed intelligenza le questioni poste dai mutamenti epocali che la sinistra contemporanea fatica a interpretare e sui quali non sa agire in assenza di forti riflessi liberisti. Si escludono, così, non solo i tradizionali ceti di riferimento della sinistra, ma si indeboliscono pure le fila di quel ceto medio che, diciamolo, è una assicurazione contro il prevalere delle tentazioni autoritarie, xenofobe e nazionaliste.
Una nuova generazione che soffre tutto questo, ci chiede di consentirle di organizzarsi per rivendicare nuovi diritti civili e lavorativi, e vuole rappresentare quei giovani che non chiedono singolarmente un futuro, ma una speranza che li riguardi tutti. Un futuro che postula una connessione diversa tra sapere e produzione, un nesso nuovo tra lavoro e reddito, una strutturazione differente tra stato sociale e una vera inclusione nelle scelte democratiche. Ciò è ancor più necessario là dove la crisi economica ha segnato profondamente il Paese, ha impoverito e condotto nella marginalità ampie porzioni della nostra società, ha ingrossato la disoccupazione – con punte elevatissime in quella giovanile e soprattutto nel Meridione – e annichilito milioni di giovani che non si formano, non lavorano e nemmeno cercano occupazione. È proprio là che bisogna essere presenti.
È anche per tutto questo che un confronto a sinistra senza reticenze potrebbe rappresentare un percorso che torni ad indicare un orizzonte di conquiste per chi vive la marginalità economica e l’esclusione sociale, coniugando competizione globale e coesione sociale.
È a rischio lo stesso patrimonio ideale del socialismo, che non può essere immiserito dal pensiero breve di formule tanto ambigue da sfiorare la sottigliezza semantica, mancando il “con chi e per cosa”, nè può essere oggetto di rivalse interne, ma piuttosto messo al servizio di coloro che sanno immaginare, e realmente vogliono costruire, un futuro migliore.
Pronti per questo anche al cambio della guardia tra gruppi dirigenti, con un passaggio di testimone che conduca assieme al traguardo le esperienze mature e le nuove leve che si apprestano a prendere in mano il proprio futuro.
*Segretario provinciale Psi Ravenna